Curated by Mauro de Felice
Come l’arte iconografica si serve dell’occhio, Teresa Emanuele si serve dell’obbiettivo, cercando di creare un’immagine inclusiva fatta di svariati momenti, fasi ed aspetti delle cose. Con la fotografia Teresa Emanuele offre un mondo interiore di fantasie e di sogni, una presentazione delle idee in una sequenza di inquadrature e non fotografie, alla ricerca del proprio specifico. L’artista mima sì il quadro, ma con la possibilità di ritagliare il particolare, emancipando le capacità visive artistico-creative attraverso le quali ipotizzare quella funzione narrativa che possa accrescere in parte il patrimonio formativo comunicabile.
Per Emanuele l’impostazione operativa è caratterizzata tanto dal suo mondo interno, quanto dalla sua relazione con il più ampio contenuto ambientale. L’artista è consapevole che, osservando la natura, si impari a conoscere il mondo dal quale si trae esperienza. Gli elementi naturali o fisici diventano immagini, necessariamente legate con la struttura emozionale dell’artista; le gocce d’acqua infatti campeggiano nelle sue opere come nella vita e rivaleggiano, per effetto romantico, con la natura. Chi esaminerà le proposte di Emanuele constaterà che proprio all’artificio viene ricondotta ogni descrizione: artifex additus artifici.
Nell’antico linguaggio sumerico la rappresentazione dell’acqua era raffigurata con un ideogramma di due linee curve; in seguito l’ideogramma fu inclinato di 90°. Col passare dei secoli, attraverso lo sviluppo della scrittura cuneiforme, il segnale grafico si trasformò nella corrispondente lettera latina A. Nelle arti figurative la forma reale simbolizzante diventa un neologismo, secondo l’artista che la manifesta. L’acqua, elemento fondamentale del mondo organico, ha dato origine alla vita; anche Leonardo l’ha definita nel suo neologismo “vitale omore della terrestre machina”.
Emanuele rimane fedele al significato mitopoietico del linguaggio dettato da immagini che nascondono un segreto: il riflesso dell’energia vitale. Se la scelta di un fotogramma come rugiada’s profile suscita un sentimento poetico, la caduta dei cristalli d’acqua in golden dà l’idea di battere il tempo con un battito appena percettibile, e l’artista, nel coglierne inebriata i momenti, sta a lungo in ascolto, come se le gocce cadendo cominciassero ad emettere dei suoni, in modo da far percepire tutte le tonalità e distinguere le chiavi.
In can’t remember o bego’s si vuole mettere in rilievo la correlatività tra realtà e immagine, tra interpretazione e significato, fino ad immaginare il suono, l’accompagnamento di un’orchestra fittizia con una modulazione completa di staccati, seste, arpeggi. Questa modalità di espressione simbolica deriva dall’esigenza di comunicare ciò che è ineffabile. Questa è l’essenza della creazione estetica e della comprensione, poiché l’opera d’arte è tale in quanto contiene una realtà incoercibile all’idea, una relazione tra sentimento ed immagine, un significato, una espressione d’interiorità.
Nelle sue opere Emanuele trasmette il mutamento in tutte le articolazioni, e anche se appartengono ad una comune connessione, consentono di cogliere la particolarità delle forme e la loro mutevolezza. Le impressioni composte da tali immagini, in cui forma e materia, contenuti e relazioni condizionano l’interprete, diventano per il fruitore un aggregato di sensazioni afferrabili nell’esperienza interiore. Perciò viene a sciogliersi un enigma di come un’opera può essere oggettivata nei caratteri dei suoi poeti o artisti proprio per il profondo nesso di interiorità ed estrinsecazione, relazionato con l’estensione pratica del sentimento e con il grado conoscitivo della rappresentazione.
In questa luce il contenuto di pensiero di Teresa Emanuele, indipendentemente dal mutare del suo presentarsi, si apre ad un’interpretazione dotata della concreta realtà spirituale. Nell’opera persa in un bicchiere d’acqua è rappresentato un cono vitreo dalla trasparenza iridata, dove la luce sfuma sul piano incurvato e penetra nella iridescenza cristallina dell’acqua. Qui per Emanuele la forma è simbolo solo di se stessa. In questo spazio pieno ma trasparente l’artista dissolve la realtà a natura e cerca nella natura di afferrare lo spazio, lo compone, lo colma, lo identifica. L’opera si potrebbe definire dogmatica nel senso positivo del termine, per l’organicità della concezione compositiva. In raindrops (falling in ny), così come in roman rain e tan’s, la ripetizione di elementi naturali analoghi a distanze discontinue promuove inevitabilmente un ritmo o una scansione che è spaziale e temporale ad un tempo. Le composizioni, da un punto di vista formale, si presentano come felice compromesso tra libera fantasia e realtà, e danno al loro primo apparire sensazioni di sequenze melodiche, tali che al fruitore non rimarrà che contemplare con intensità quelle immagini uscite dalle mani della natura, per poi ricavarne echi, reminescenze, allusioni. La fotografia diviene dunque una finestra attraverso la quale le concezioni psicologiche dell’autrice e del fruitore comunicano tra loro.
In questa rassegna di opere sono rappresentate immagini il cui risultato racchiude in sé valori poetici e metafisici; non è semplice rappresentazione di dati naturali, bensì contenuto del pensiero che ha tutti i caratteri della poiesis, della creazione. Il rapporto tra conoscenza e produzione non è da intendersi con l’episteme platonica, ma nel rapporto che Hans Georg Gadamer ha recuperato tra poiesis e praxis per tutelare l’arte come impegno di vita, arte situata tra esistenza e conoscenza: un linguaggio sostanziale in cui la realtà si rivela per mezzo della produzione dell’artista. L’arte, come la pittura, la scultura, la fotografia, è per Gadamer il processo ontologico della rappresentazione, e diviene quindi un incremento della realtà. L’opera d’arte, però, non può essere solo un rapporto reciproco di crescita tra realtà ed immagine e, come afferma Martin Heidegger, non c’è solo presenza nell’immagine di quello che l’artista rappresenta, ma soprattutto l’idea che ha i caratteri della poiesis, ed un rimando che va oltre l’immagine rappresentata: quindi “differenze” e simboli.
Nelle fotografie di Emanuele si costudiscono forme e significati, che risultano molto più eloquenti della cosa reale o della sua rappresentazione, poiché l’immagine è portatrice di sapere e di informazione. La mimesis dell’oggetto raffigurato potrebbe avere un’importanza relativa, anche perché non è riconducibile ad un mimetismo realistico, ma si sviluppa in base ad una indipendente capacità espressiva. Queste immagini favoriscono uno svolgimento interpretativo per esprimere, nella terminologia di Edmund Husserl, tutta la noesis, ossia il punto di vista soggettivo dell’esperienza vissuta, costituito dagli atti di comprensione che hanno lo scopo di percepire, ricordare, immaginare.
VENERDI' TREDICI was exhibited in Rome in 2009 at Monogramma Arte Contemporanea.